sabato 5 gennaio 2013

Paris, London, maybe Kuala Lumpur

Ti ricordi quel ristorante in cui abbiamo cenato quella sera?
Eravamo a New York. No, eravamo ad Ottawa!
O forse Londra. Poteva anche essere Dubai.












Che tanto questi locali à la page stanno diventando tutti “globalmente” uguali, monocordi, ripetitivi e senza carattere alcuno, conformati alla superficiale estetica della cultura contemporanea. Per quale motivo gli interior designer hanno paura di inserire non dico citazioni leziose, iconoclastiche, del passato ma elementi che contestualizzino il territorio e le tradizioni locali del luogo (lasciamo perdere i non-luoghi) in cui stanno operando?
Perchè lo fanno i grandi “maestri” dell’Architettura contemporanea, le più autoreferenziali Archistar, le più pagate, sfogliate, idolatrate divinità dell’olimpo mediatico popolare (leggi pop).Così le grandi torri firmate da Foster, come nel gioco del Monopoli, potrebbero essere spostate a Barcellona, Londra o NYC, ma certo farebbero la loro discreta figura anche a Parigi, piuttosto che a Milano, Berlino o Praga e perchè no, a New Delhi?
E’ davvero questo il modello di città che vogliamo?
Un’unica, melensa, omologata e autoreferenziale omogeneità.
Mi rendo conto che questo discorso può suonare anacronistico; che questo processo di Globalizzazione sia irreversibile, immutabile, inarrestabile. Che una società laica, multietnica, multiculturale, multilinguista ha bisogno di luoghi in cui ritrovarsi che possano contenere tutti allo stesso modo.
Io stesso quando studiavo in Germania mi sono trovato a partecipare e vincere un concorso accademico per la progettazione di un cimitero a Maastricht, in Olanda: pensai che il verde fosse l’unico elemento in cui poter seppellire indistintamente persone di religioni e culture diversissime tra loro; che il paesaggio naturale fa sentire a casa tutti, così come il Paradiso Terrestre viene raccontato giardino dell’abbondanza in tante religioni nate nel deserto.
E pur tuttavia questo scenario di omologazione mi spaventa, lo temo enormemente.
Agli artisti, ai creativi, voglio fare un appello.
Quando vi troverete a progettare gli interni di una abitazione, piuttosto che di un luogo pubblico o di un esercizio commerciale, pensate al territorio in cui nasce, alla luce naturale in cui dovrà risplendere, agli odori e alle suggestioni di quel luogo, alla sua storia artistica, commerciale, culturale e meno al vostro stile, all’imperante uguaglianza contemporanea.
Altrimenti gli autori di quel progetto potreste non essere voi ma qualunque altro progettista contemporaneo.
http://ffarchitetto.wordpress.com/ 
di  Ferdinando Fiorini 

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